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martes, 8 de septiembre de 2009

Participación de S.E. Policarpo en la Oración Ecuménica por la Paz


Gv 14, 27: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”

Cracovia, Preghiera Ecumenica per la Pace
 Chiesa Kościół Mariacki, 08.09.2009 

Eminentissimo e reverendissimo Signor Cardinale Stanislaw Dziwisz, Arcivescovo-Metropolita di Cracovia,

Eminenze, Eccellenze, Reverendissimo Monsignori e Padri,

Cari fratelli e care sorelle in Cristo,

Il Signore Gesù attraverso i Suoi Santi Discepoli ci lascia la pace. Non è causale il momento in cui compie questo atto significativo. Lo fa poco prima della Sua Passione salvifica, come ha fatto parlando dell’unità “perché il mondo creda che Tu mi hai mandato” (Gv 17,21).

Gesù non ci lascia una pace comune, una pace in genere, una pace astratta, ma una pace concreta. E su questo punto è categorico e molto chiaro. Ci lascia la Sua pace che è diversa da quella del mondo. Perché porta una tranquillità, una quiete, una calma interiore al corpo e all’anima che allontana ogni turbamento e timore dal cuore umano.

La parola “pace” è molto presente nei discorsi del Signore. Possiamo anche dire che questo argomento vitale è da Lui molto amato, perché è come se parlasse di se stesso, che è la pace in persona, la pace per eccellenza.

La pace è un bene prezioso che tutti inneggiamo e invochiamo, ma di cui pochi si prendono cura affinché  fruttifichi e domini nel mondo. Spesso, al posto della pace vengono serviti i conflitti, le contrapposizioni, le guerre tra le nazioni, nelle società, nelle famiglie e negli uomini che vivono divisioni e turbamenti. Questa terra martoriata conosce bene che significhi la guerra, perché l’ha vissuta in modo terribile proprio 70 anni fa.

Gesù prima di lasciarci la pace, la Sua pace, parla di “amore” (Gv 14,23-24) e di “Spirito Santo” (Gv 14,26). In questa maniera collega in modo indissolubile la pace con l’amore e lo Spirito Santo. La vera pace presuppone l’amore disinteressato e tutti e due, amore e pace, sono frutti dello Spirito Santo, come afferma l’Apostolo delle Genti, San Paolo, nella sua Lettera ai Galati (5, 22-23).

In un mondo che ha allontanato Cristo dalla sua vita, che ha adottato come modo di vita la forza di rottura del peccato, che ha negato la beata pace del Dio-Uomo, è però naturale che si presentino eventi e fenomeni tragici che degradano la personalità umana e stroncano il valore umano. Il mondo oggi “sta nel male”, e dimentica che il Signore chiamava beati gli operatori della pace e li chiamava “figli di Dio”, dando parallelamente anche una via di giustificazione e salvezza personale a chi abbia scelto nella sua vita la pace di Dio e l’abbia trasmessa anche agli altri.

La mancanza di pace nel mondo odierno si deve, principalmente, a mio umile parere, a tre motivi e fattori.

La prima causa è l’allontanamento della nostra società secolarizzata dalla volontà di Dio. L’uomo non è cin grado di ottenere la pace lontano da Cristo, perché Egli “è la nostra pace”, la fonte della pace. Abbiamo menzionato le parole paoline secondo cui la pace è frutto dello Spirito Santo. Ma per fruttificare è necessario che nel mondo regni lo Spirito di Dio, che è per eccellenza Spirito di pace. Bisogna che il mondo riconosca il vero Dio, ritorni alle Sue braccia e riacquisti la virtù perduta.

Il secondo fattore è la pacifica convivenza e relazione con il nostro vicino, il nostro prossimo. Perché accada questo “presupposto esistenziale è che ogni uomo abbia coscienza dei propri sbagli”, come sottolinea sapientemente San Silvano l’Athonita. Abbandonare l’egoismo e la consolida tendenza dell’uomo a comandare, governare e dominare sugli altri. Nei nostri giorni, per fortuna, non si sono guerre mondiali, ma la pace viene sempre ferita gravemente, sanguina continuamente come la donna della pericope evangelica (Lc 8,41-56), ma questa ultima ha ricevuto la guarigione da parte del Re della pace, esortandola infine: “va in pace”. La frenesia dell’uomo odierno per dominare e prevalere, usando ogni mezzo legittimo e illegittimo, ha come conseguenza immediata le ingiustizie e le ineguaglianze che tutti osserviamo.

Il terzo motivo è la pace personale, perché essa non è una situazione esterna, ma soprattutto una questione interna e del cuore. Per raggiungerla, è necessario che sia allontanato l’odio e l’ira, la critica ingiusta, la tentazione verso il peccato e che siano superare le passioni con la preghiera, il pentimento e l’ascesi.      

Gesù ha pacificato con il sangue del Suo sacrificio sulla Croce ciò che si trovava sotto il regime della divisione e della corruzione: la stirpe umana. La pace secondo i Santi Padri della Chiesa ha un doppio carattere: spirituale e materiale, perché appunto se non esiste pace nel corpo, non può esistere anche nell’anima e all’inverso. La pace corporale ha come conseguenza l’umiltà, la tranquillità, la quiete, la preghiera, la vita spirituale, mentre quella dell’anima porta alla purificazione, all’illuminazione, alla santità e alla perfezione in Cristo. E il Corpo mistico divino-umano della Chiesa è il luogo dell’eccellenza dove si acquista la pace del corpo e dell’anima, la pace interiore di Cristo, e da essa viene irradiata al mondo. Questa pace i Santi Padri teofori la definiscono: “la pace che supera ogni mente” (ερήνη  πάντα νον περέχουσα) e guida alla santificazione, perché come dice San Nectario d’Egina: “La pace è la luce che fa sparire il buio del peccato”, per concludere San Paolo, basandosi sull’affermazione analoga del Signore nel Suo Discorso della montagna (Beatitudini), “che senza la pace e la santificazione nessuno può vedere Dio” (Ebr 12,14).

La pace  di Cristo deve accompagnare la vita e le opere nostre, caratterizzare il nostro status personale e le nostre relazioni con Dio e con il nostro prossimo, perché pacificandosi con Dio Trino, Datore della vera pace, e con il prossimo, rispende la pace anche al mondo che ci circonda.

Questo è lo scopo che ha animato e continua ad animare la Comunità di Sant’Egidio, a me tanto cara dal mio lungo servizio sacerdotale nell’amata Italia. La Comunità ha compreso la forza e le possibilità che hanno le Chiese e le Religioni e soprattutto la preghiera e il dialogo comune perché seccano i conflitti e regni nel mondo la pace. Ispirata dallo “Spirito di Assisi”, dovuto e realizzato dal beato servo di Dio, l’indimenticabile Papa Giovanni-Paolo II, figlio di questa terra martoriata e Pastore fedelissimo per tanti anni della Chiesa di Dio che è in Cracovia, il quale è presente spiritualmente in questo sacro momento e rallegrandosi in cielo ci invia la Sua santa e incoraggiabile benedizione, (la Comunità) continua con tanta fede e speranza al Re della pace e instancabile forza e coraggio ad operare affinché la pace di Cristo sia possibile nel nostro mondo turbato, secolarizzato e materialista.

La presenza e la attiva partecipazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, che ho il grande onore e privilegio di rappresentare, portandovi il saluto fraterno di Sua Santità il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, amico sincero della Comunità e sostenitore dei suoi sacrosanti ideali, e delle altre Chiese Ortodosse autocefale locali negli Incontri per la Pace della Comunità di Sant’Egidio, vuol mostrare l’impegno comune perché la pace, la vera pace, la pace di Cristo rimanga sempre tra gli uomini e non ci abbandoni. 

Per le intercessioni della Santissima Madre di Dio e Semprevergine Maria, la Regina della pace, di cui oggi festeggiamo la Nascita, di Sant’Egidio vescovo e martire, di San Francesco d’Assisi e del servo di Dio Giovanni-Paolo II spalanchiamo le porte al Re della vera ed autentica pace Gesù Cristo, nostro comune Signore e Salvatore!

A Lei Eminentissimo e reverendissimo Signor cardinale Dziwisz, che molti di noi qui presenti abbiamo avuto il grande onore di conoscerLa come il carissimo don Stanislao, affianco al fedele servo di Dio e servitore della Papa Giovanni-Paolo II, si dirige il nostro profondo ringraziamento per queste belle giornate che abbiamo vissuto nella nobile e reale città di Cracovia. Il nostro fervide augurio e preghiera “ad multos annos” – “eis pollà èti Dèspota” Le accompagna sempre. Amen!

lunes, 7 de septiembre de 2009

2ª intervención de S.E. Policarpo en el Encuentro por la Paz de Sant’Egidio


“UNITA’ CRISTIANA, PERCHE’ IL MONDO CREDA”
(Cracovia, Comunità di Sant’Egidio-Incontri per la Pace, 07.09.2009)

Il primo ad occuparsi seriamente e con grande angoscia dell’argomento di questa tavola rotonda è stato il Signore stesso poco prima della Sua passione salvifica, nella cosiddetta “Preghiera Pontificale” (Gv 17, 1-26). In questa preghiera a Dio-Padre la principale preoccupazione del Suo Unigenito Figlio e Verbo era proprio l’unità dei Suoi discepoli e di coloro che attraverso loro crederanno in Lui, perché “il modo creda che Tu mi hai mandato” (Gv 17, 21).

Chi crede e lavora oggi seriamente per l’unità dei Cristiani deve avere sempre come suo emblema queste parole del nostro Signore e Salvatore, perché la divisione degli odierni cristiani potrà essere spesso e facilmente usata in funzione apologetica da parte di terzi contra la fede cristiana e soprattutto contra la Chiesa.

Radunati qui per approfondire – quanto è possibile all’uomo – il mistero dell’Unità, rivolgerò al vostro amore, in qualità della mia funzione di teologo e vescovo della Chiesa Ortodossa, alcune riflessioni e pensieri, forse difficili per l’uomo moderno secolarizzato e materialista, ma attualissimi, che a mio umile parere costituiscono i veri presupposti riguardo all’Unità.

Fin dai primi istanti della sua vita storica la Chiesa è cosciente del fatto che la sua unità non è una semplice questione di attività ideologica o frutto di strutturazione organizzativa. La Chiesa non è una istituzione “religiosa” della vita sociale. κκλησία, Chiesa, significa riunione, adunanza, un evento originario di comunione tra gli uomini e tra essi e Cristo. A proposito San Giovanni Crisostomo dice: “Il nome κ-κλησία non è un nome indicante separazione, ma unione; è un nome che indica sinfonia” (Omelia sulla Prima Lettera ai Corinzi, P.G. 61, 13). Lo stesso Santo Padre, molto sensibile per quanto riguardo l’unità della Chiesa, in un altro punto afferma: “Lacerare la Chiesa è peggio che cadere nell’eresia”.

La Chiesa è creazione di comunione, di un concreto modo di comunione tra gli uomini e tra uomini e Dio. La realtà della comunione ecclesiale differisce dai sistemi politici e ideologici di organizzazione sociale, che hanno come scopo finale la più piena soddisfazione dei bisogni individuali di ogni unità sociale. Agli antipodi di ciò si trova la realtà della comunione ecclesiale e il mondo di esistenza dell’uomo che essa presuppone: l’uomo come evento esistenziale di comunione e di relazione, secondo l’icona del Dio Trino, il Prototipo Trinitario.

Evento fondante della Chiesa è l’incarnazione del Dio Logos. Non un insegnamento religioso, non una nuova teoria metafisica, ma un evento storico concreto che taglia in due la storia complessiva degli uomini: “Mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, nell’anno decimo quinto dell’impero di Tiberio Cesare” (Lc 3,1), Dio diviene uomo, concreta persona storica: Gesù, il Cristo di Dio, che non ha fondato nessuna religione, ma la Chiesa Una e Unica, luogo per eccellenza della divinizzazione dell’uomo.

L’evento storico dell’incarnazione di Dio rivela anzitutto il modo della vita divina, che è amore (1 Gv 4,8); l’amore non come proprietà etica, ma come realtà ontologica, che secondo San Massimo il Confessore significa verità esistenziale, verità di unità, di comunione e di relazione (cfr Questioni a Talassio, 54, P.G. 90, 516 A). Tale unità manifesta all’interno della storia la Divinità come Trinità di Persone e Unità di Natura. La verità del Dio Uno e Trino si rivela nell’assunzione della natura umana da parte del Logos. L’incarnazione del Logos – la concreta realtà storica della κένωσις(svuotamento) di Cristo – rappresenta per l’uomo un nuovo modo di esistenza: il modo di esistenza trinitario; la possibilità di sintonizzarsi con l’icona della comunione trinitaria, il prototipo dell’amore trinitario. Svuotarsi dagli elementi dell’autosufficienza individuale e dei sogni messianici di “felicità generale” che la civiltà del benessere e del consumo impone all’uomo di oggi e acquistare la pienezza della comunione personale.

Secondo i Santi Padri della Chiesa l’uomo è stato plasmato per attuare la Chiesa. Ma oggi che fa l’uomo per quanto riguarda la Chiesa e la sua unità? La risposta è semplice: si occupa più dell’unione delle chiese, come organismi ecclesiastici istituzionalizzati, che dell’unità della Chiesa. Così il tema cruciale dell’unità della Chiesa diventa piuttosto una questione strettamente “inter-ecclesiastica”, gestita dalla burocrazia ecclesiastica e perciò sostituisce un obbiettivo raggiungibile, senza però che la vita degli uomini cambi essenzialmente.

Contrariamente ad una unione in genere delle chiese, l’unità della Chiesa è immediato problema di vita degli uomini nel loro insieme. Un problema di qualità della vita, un problema di verità e di autenticità della vita umana. E perciò è anche più difficilmente accessibile con la mentalità della nostra moderna società secolarizzata. L’unità della Chiesa è immediato problema di vita degli uomini nel loro insieme, perché concerne il modo di esistenza dell’uomo: l’uomo “secondo natura” e “secondo verità”. Essa non mira a finalità utilitaristiche, e di conseguenza non può essere compresa e perseguita con le misure razionali che applichiamo per migliorare o cambiare le istituzioni sociali e le forme organizzative della vita umana. La verità dell’unità ecclesiale è verità esistenziale: si riferisce all’autenticità dell’esistenza dell’uomo. Non può, dunque, conciliarsi con le forme convenzionali di convivenza sociale e di organizzazione istituzionalizzata, perché tali forme presuppongono l’uomo soltanto come individuo. Fino a quando l’unità della Chiesa non costituirà una verità esistenziale dell’uomo, il “cristianesimo” rimarrà un’ideologia socialmente insignificante e formalmente istituzionalizzata, un “complemento religioso” soggettivo della vita dell’uomo.

La verità esistenziale dell’unità ecclesiale, è verità cattolica, concerne l’uomo "καθόλου", cioè nella sua totalità, è l’autenticità dell’esistenza e della vita umana, non soltanto un problema interno agli organismi ecclesiali, come, purtroppo, viene intrapreso spesso oggi. Tale autenticità esistenziale è stata resa possibile dall’incarnazione di Dio, dal modo concreto di esistenza di Cristo Salvatore. E tale modo di esistenza è l’unità e la comunione delle persone nel Corpo mistico divino-umano della Chiesa, è l’unità della Chiesa Una e Cattolica, l’icona del Prototipo Trinitario dell’esistenza umana.

La divisione rappresenta, prima di tutto, una negazione o un’ignoranza istituzionalizzata della verità esistenziale dell’unità della Chiesa, un estraniarsi dalla cattolicità della verità della Chiesa, dalla stessa vita vera degli uomini. Ove si realizza l’unità come relazione di vita e di comunione secondo il Prototipo Trinitario, la comunione amorosa della Tre Persone della Santissima Trinità, lì è anche la salvezza cattolica del mondo intero. Come Cristo ama con il senso patristico dell’eros ek-stàtico Dio Padre e lo Spirito Santo e queste due Persone a loro volta Cristo, così amiamoci reciprocamente dentro il Corpo mistico della nostra salvezza, la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Così la divisione non entra o una volta entrata per causa delle passioni umane cessa automaticamente e regna l’unità.

La Chiesa Ortodossa ancora oggi crede fermamente all’esistenza della Chiesa Una e Unica, quella Chiesa che la Santa Scrittura definisce senza ruga e senza macchia (Ef 5, 27). E’ la Chiesa dei Santi e dei redenti in Cristo e non la Chiesa di Paolo, né quella di Apollo o Cefa (cfr 1 Cor 1,12). E’ la Chiesa della Trasfigurazione e della Resurrezione pienamente incontrabile nei Santi che possono cambiare la vita di chi li incontra. Ecco perché Nicholas Motovilov, dopo il suo famoso incontro con lo Starets Serafino di Sarov, uscì profondamente trasformato. Unità e Santità si collegano inseparabilmente. Questo collegamento tra Santità e Unità lo incontriamo anche nell’insegnamento dell’indimenticabile Papa Giovanni-Paolo II. Veramente i Santi costituiscono un solido ed autentico ponte di Unità. E malgrado i tempi apocalittici che viviamo e la carestia di sante persone e guide spirituali, di Starets, quest’ultimi non mancano e continuano ad essere prodotti dal Corpo della  Chiesa, anche se in numero inferiore, preferendo stare lontano dal mondo. Ciò ci permette alla domanda dei Natanaele odierni: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono”, rispondere come Filippo: “Vieni e vedi” (Gv 1, 46). Una risposta non teorica o ideologica, ma ontologica, uscita dall’esperienza vissuta.

Intervención en el Encuentro por la Paz de Sant’Egidio


“SOCIETA’ DEL MERCATO,
RELIGIONI E PROVOCAZIONE DEL MATELIARISMO”

(Cracovia, Comunità di Sant’Egidio-Incontri per la Pace, 07.09.2009)

La prima cosa che leggiamo nella Bibbia è un atto di libertà. Dio è libero e anche l’uomo è libero perché è stato plasmato a Sua immagine e somiglianza. La libertà dell’uomo consiste nella sua capacità di svilupparsi ed agire con ragione nel tempo e nello spazio. Conseguenza di questo legittimo sviluppo è ad arrivare ad una “legittima secolarizzazione”. Bisogna che ogni uso di questa parola sia fatto con tanta cautela, perché può provocare interpretazioni erronee. Questa “naturale secolarizzazione” si basa alla distinzione tra Creatore e creatura, sacro e profano, Dio e Cesare.

Però, unicamente alla capacità di sviluppo dell’uomo esiste anche la capacità massimalista della tentazione e dell’errore, che a sua volta può provocare conseguenze pessime. Naturalmente, la Verità non è flessibile, perché è una e unica. Anche quando non può essere totalmente realizzata da parte della maggioranza degli uomini, comunque non permette di essere annullata, come anche non permette di essere sostituita da varie mezze verità.

Curiosamente, fin dal principio della sua esistenza, l’uomo ha considerato la dimensione della sua libertà come autonomia e separazione da Dio, come la possibilità di decidere in maniera autonoma individualista ciò che è buono e ciò che è male. L’uomo si è sempre sentito attratto da questa tentazione di costruire i propri dei o, meglio, come dice il brano biblico, “essere come Dio”. Conseguenza di ciò è che l’uomo costruisce la sua libertà sulla sua autonomia e su un certo antagonismo con Dio, invece di costruirla sulla fiducia in Lui. Il risultato di questa erronea scelta dell’uomo lo conosciamo benissimo: la disgrazia e la morte.

Di nuovo nell’uomo moderno vive il fantasma di Nietzche, l’intenzione di “uccidere Dio”. Questa volta non usa trattati filosofici ma azioni personali concrete. Vive come se Dio non esistesse, perché crede che Dio è superato, sostituito da se stesso. Non si tratta di famose retoriche ateiste, né delle masse tiepidi che frequentano le nostre Chiese, ma di coloro che hanno perso il senso di Dio. Per questa categoria di uomini la nozione del divino è fuori da ogni considerazione perché infastidisce e l’unica realtà che esiste è la ricerca del benessere e la soddisfazione dell’individuo.

Però, questo esercizio della libertà come separazione da Dio non risulta né assoluto né onnipotente come si pensava e ci sembrava. Dalla nascita fino alla morte la nostra esistenza percorre una continua successione di fatti che non possiamo controllare. Non deve stupirci il numero elevato di suicidi, in maggioranza di giovani, nella sviluppata e avanzata nostra Europa, appunto perché esserci liberi per niente è semplicemente angoscioso.

Il secolarismo materialista attuale, che sorge dall’umanismo e illuminismo ateista, considera l’uomo il centro e la fine di tutte le cose. Hegel, a suo tempo, ha detto che “per l’uomo di oggi, la lettura del giornale ha sostituito l’esercizio della preghiera”. Oggi, non leggiamo neanche i giornali – dei libri non si parla -  sostituiti dai nuovi mezzi di comunicazione di massa (televisione e internet), molte volte caratterizzati dal loro contenuto volgare. Purtroppo, una cultura senza Dio genera una cultura senza valori. Nelle Costituzioni dei nostri paesi, nei Trattati tra gli Stati o nelle Dichiarazioni degli Organismi Internazionali, appaiono concetti con i quali tutti siamo d’accordo come per esempio: “Ci impegniamo a difendere la dignità delle persone … ad abolire le differenze tra le classi sociali …a realizzare l’uguaglianza tra uomo e donna …ecc”. Nessuno dubita su questi programmi. E’ meraviglioso contribuire “comunemente” in questi programmi, perché credo che tutti siamo d’accordo con il loro concetto, ma con quale contenuto? Per esempio: tutti siamo d’accordo a difendere la dignità della vita umana. Però in che senso? Della nascita o della non nascita? La prima cosa che deve fare l’uomo è vedere correttamente la realtà, vedere le cose come sono e non come gli sembra o gli conviene che siano, cosa che non è per niente facile. Vorrei proporvi un esempio letterario dal paese dove vivo ed esercito la mia opera pastorale. Nella narrazione spagnola famosa nel mondo “Don Quijote de la Mancha”, esistono vari passaggi in cui si vede differenti punti di vista tra i personaggi: lì dove Don Quijote vede un casco di guerriero, Sancho vede un vaso di barbiere; e lì dove Sancho vede mulini a vento, Don Quijote vede nemici giganti. Questo esempio forse è esagerato e oggi non è possibile ragionare come i due sopranominati personaggi. Ma la realtà in cui viviamo ci insegna che incontriamo differenti posizioni più drammatiche di quelle suddette. Per esempio le differenze tra un terrorista e un cittadino pacifico, tra un difensore dell’aborto e un difensore de la vita, tra uno che vive fuori legge e uno che vive sotto la legge, tra uno che vende droga e uno che vende gelati …ecc.

Sostituire la libertà basata sulla fiducia in Dio con quella basata al sospetto nei Suoi confronti; sostituire la solida etica dei valori con la liquida etica del relativismo, è aprire la porta al “tutto vale”, con conseguenza per esempio che un assassinio può essere considerato giusto per un terrorista, un aborto essere considerato un’interruzione della gravidanza per uno e un crimine per un altro, come a Bruto sembrò un atto di amore per Roma l’assassinio di Cesare.

La peculiarità del secolarismo ateista della nostra epoca non è che l’uomo di oggi vive lontano da Dio, cosa che è successa sempre e in tutte le epoche e culture, quanto piuttosto il fatto che questo fenomeno viene presentato e considerato come una caratteristica normale dei nostri tempi e della nostra società.

Purtroppo, di fronte alla provocazione materialista, forse la Chiesa non dà l’impressione di essere una barca ben solida e soffre per le onde e i venti navigando nell’oceano della società consumista, però non dobbiamo dimenticare che Cristo camminò sopra le acque. Oggi, come ai tempi del suo Divino Fondatore, la Chiesa non ha potere in senso di forza mondana o dominio sociale, ma continua la sua azione salvifica, irradiando al mondo moderno l’amore tra gli uomini e la dignità della loro libertà. In maniera uguale non deve dimenticare che anche le Chiese vengono tentate da questo clima relativista, che chiede moderarsi e accomodarsi alle esigenze dei nostri tempi moderni per attirare più credenti, cosa che è un puro clientelismo. L’esperienza dice che chi non crede per convinzione propria o per motivi morali, anche se vedrà un morto resuscitarsi non crederà. Allo stesso modo la Chiesa non viene aiutata da persone che hanno buone intenzioni ma sono creduli.

La Chiesa non è un’impressa né un partito politico, né un movimento sociale o un sindacato. La fede costituisce la sua semplice e sempre efficace strategia contro il materialismo. Le verità della fede e della morale devono essere considerate come la cosa primaria. Naturalmente la Chiesa deve adattarsi ai nostri tempi, cosa in cui insiste la Santa Tradizione, però non deve essere allineata su ciò che desidera la maggioranza della gente e la moda del momento, cioè non deve cadere nella tentazione del clientelismo. Per quanto riguarda al progressismo, bisogna prima chiarire la sua direzione, perché da se stessa questa parola non dice niente. Sempre il progresso da se stesso è buono e necessario, ed è proprio di ogni essere umano cercare qualcosa di più nella propria vita, ma chiamarsi progressista e qualificare gli altri conservatori, tradizionalisti o integralisti perché non la pensano alla stessa maniera mi pare un argomento tipico di un uomo intellettualmente molto povero.

Mi pare che oggi, come sempre, la Chiesa ascolta le varie voci critiche, le valorizza e trae un’esperienza utile. Quello che non può fare la Chiesa è accontentare la massa, chiamare il male bene, perché questo costituisce un tradimento della sua missione.

Malgrado il fatto che regni la secolarizzazione, la religiosità non è sparita dall’uomo di oggi. L’uomo odierno occidentale capisce di vivere in una enorme decadenza per la quale anche le Chiese, almeno dal punto di vista istituzionale, hanno le loro colpe, insistendo su attività sociali e dimenticando così i valori interiori spirituali, come per esempio l’ascesi, che costituisce il miglior antipodo al consumismo. La crisi attuale non è altro che un prodotto della crisi spirituale. Questa malattia domina a causa della incapacità, o meglio della non volontà dell’uomo odierno di considerare l’uomo come una unità indissolubile, costituita da corpo, anima e spirito inseparabili. Chi chiede di separare queste tre componenti dell’uomo e ridurre la dimensione spirituale in campo puramente privato, riduce la persona ad un semplice individuo, ad un oggetto materiale.

Una tentazione ed un pericolo appare per la Chiesa: confondere la religione con la sociologia, riducendo il cristianesimo ad un organismo filantropico. L’obbiettivo vero della Chiesa è il Regno di Dio, dimostrando allo stesso tempo che il concetto ben compresso di Dio non arriva al fanatismo, ma alla ragione e alla sapienza, perché, malgrado le sue resistenze, la nostra società ha sete spirituale e non cessa di cercare Dio.

miércoles, 2 de septiembre de 2009

"La Eucaristía, el sacramento por excelencia". Artículo de S.E. Policarpo (Stavropoulos)


Introducción

Para los Ortodoxos la Divina Liturgia, con mayúsculas, es la Eucaristía, mientras que la misma palabra escrita con minúsculas se refiere al ritual o ceremonias en general. Liturgia (Λειτουργία) es el “ἒργον τοῦ λαοῦ”, es decir, la obra común del pueblo o expresándolo de otra manera, es la operación del misterio de Cristo y de la Iglesia, lo que significa que el pueblo se reúne para operar el sacramento por excelencia que es su salvación. Según el pensamiento ortodoxo el hombre se ha plasmado y el mundo se ha creado para la liturgia y la liturgia para el hombre y el mundo, por eso hombre y mundo son por excelencia litúrgicos.

Cuando Cristo habló por primera vez a los hombres del misterio de la Divina Eucaristía se llamó a sí mismo el “pan de la vida”, pan bajado del cielo para ofrecerse “para la vida del mundo” (Juan 6, 48-51).

Cristo es el pan de vida que ha bajado del cielo (ὁ καταβάς) por el poder del Espíritu Santo. Descendióό el día de la Anunciaciónόn a la Bienaventurada Virgen María y la Virgen se convirtió “en tierra buena y bendita” donde germinό el pan de vida. Desciende en el momento de la Anunciaciónόn eucarística sobre la Iglesia virgen y la Santa Iglesia se convierte también en tierra buena y bendita donde germina el pan de vida. Es en la Divina Liturgia donde se efectúa el acontecimiento del descenso de Cristo y de su presencia en la Iglesia; porque la Divina Liturgia es Cristo entre nosotros. “Y, yo estoy con vosotros todos los días, hasta el final del mundo” (Mt 28, 20).

Si la Divina Liturgia es “Cristo con nosotros”, proponer una explicación de ella significa, en realidad, hacer una explicación de Cristo. Los Santos Evangelistas y los Santos Padres Teóforos han hablado de Cristo en base a la experiencia que han tenido personalmente de Él, como han sido los Evangelistas o la experiencia que han tenido de Cristo en base a la Divina Liturgia como es el caso de los Santos Padres. “Lo que hemos oído, lo que hemos visto con nuestros ojos, lo que hemos contemplado, lo que nuestras manos han tocado, o sea, el Verbo de vida, de ello damos testimonio” (1Juan 1,1-2). Una “explicación” moderna de la Divina Liturgia debe brotar de la visión de Cristo, del oído de Cristo y del contacto palpable con Cristo de parte de los hombres de hoy, es decir, la experiencia de Cristo como la han visto y la han tenido los Santos en la Divina Liturgia, como la han vivido y como la han visto en nuestra Santa Iglesia. Incluso hoy día, en los tiempos difíciles que atravesamos, existen corazones encendidos de amor a Cristo, que viven en su presencia en el altar, que concelebran en la hora de la Divina Liturgia con los ángeles y los Santos, que viven en el Reino bendito de Dios.

1. Qué es la Divina Liturgia

a) La recapitulación de toda la economía divina

Todos los maravillosos acontecimientos realizados por Dios para recibir en su casa el hombre alejado por la desobediencia y hacerlo de nuevo miembro de su familia se entienden como economía divina. La economía de Dios nuestro Salvador con respecto al hombre “consiste en levantarlo de su condición de caído y conducirlo a la familiaridad de Dios desde su estado de alienaciόn causado por la desobediencia”, dice San Basilio el Grande (Basilio de Cesarea, El Espíritu Santo, 35, a cura de G. Azzali Bernardelli, Città Nuova, Roma 1993, p. 134, Colección de textos patrísticos 106). En la Divina Liturgia es donde se produce este acontecimiento de nuestra salvación en Cristo. “Los misterios llenos de dones de salvación que celebramos en cada reunión litúrgica son llamados “eucaristía”, es decir, acción de gracias, porque son el memorial de los muchos beneficios recibidos y la manifestación más elevada de la providencia de Dios”, nos recuerda San Juan Crisóstomo (Comentario del Evangelio de San Mateo, 25,3, vol. 2, a cura de R. Minuti-E.Monti, Città Nuova, Roma 1968², p.15). En la Divina Liturgia se reviven, bajo los signos misteriosos, la entera economía divina.   La Divina Liturgia por su poder y significación es escatológica, es un acontecimiento eterno y eternamente actuante. La vida de Cristo, su muerte, su resurrección y su Reino ya han entrado en este mundo. Se trata de un reino mesiánico que se realiza en la Iglesia cuando los fieles se reúnen con su obispo para ser una comunidad en el Cuerpo del Señor; porque la Liturgia es la manifestación de la Iglesia como el nuevo eón, como parusía, como segunda venida de Cristo resucitado. Por eso, al terminar la Liturgia puede decir el sacerdote: “Tú que eres la plenitud de la Ley y los Profetas, Cristo nuestro Dios, habiendo cumplido todo el plan de nuestra salvación, colma nuestros corazones de alegría... etc.”.

Además, el misterio de la divina economía ya se manifestó en el mismo instante de la desobediencia del hombre. El Señor Filántropo, nos dice San Juan Crisóstomo “vio enseguida lo que había ocurrido y la gravedad de aquel hecho y se dispuso a procurar el remedio para que aquella falta no se convirtiera en una herida incurable... Ni por un instante cesό en su infinita bondad de cuidar del hombre” (Sobre el Génesis, 17, 2, PG 53, 136). Con hechos maravillosos y palabras proféticas Dios preparaba al hombre para participar en la plenitud de la vida y del amor.

Algunos acontecimientos y profecías del Antiguo Testamento se refieren directamente al misterio de la Divina Eucaristía. El primero de ellos es la ofrenda de pan y vino realizada por Melquisedec (Gen 14, 18-20). Dice San Juan Damasceno que Melquisedec fue “figura e imagen del verdadero Sumo Sacerdote Cristo” (La fe ortodoxa, 4, 13, a cura de V. Fazzo, Città Nuova, Roma 1998, p. 270, Colección de textos patrísticos 142) y su ofrenda “imitación de la ofrenda de Cristo”. Él mismo, “lleno de espíritu profético, habiendo comprendido que la oblación futura sería presentada por las Gentes, daba culto a Dios con pan y vino imitando al Cristo venidero”, nos recuerda San Juan Crisóstomo (Sobre Melquisedec, 3, PG 56, 261). El Santo Melquisedec, vive en el Espíritu Santo, un futuro en el presente e imita aquello que todavía no se ha realizado.

De igual manera el sacrificio de Isaac (Gen 22,1-14) es una prefiguración del sacrificio de Cristo. Lo mismo habría que decir del sacrificio del Profeta Elías (1 Reyes 18, 1-40) e incluso la visiόn de Isaías (Is 6, 1-7) se mueve en una atmόsfera litúrgica.

La Pascua judía es el evento prefigurativo por excelencia de la Eucaristía. Esta fiesta era un continuo memorial de la salvación por Dios de los Hebreos y una continua acción de gracias por los beneficios recibidos de Dios.

Todos los hechos recordados preparaban la plenitud de los tiempos en los cuales se manifestó la Verdad: Cristo. Cristo es la recapitulación del misterio de la divina economía y cada acontecimiento de su vida es para el hombre una bendición divina. La totalidad de todos los eventos de la vida de Cristo se encuentran en la celebración de la Liturgia Eucarística: “Todo esto que se cumple en el divino sacrificio es imagen (τύπος) de la pasión salvífica, sepultura y resurrección de Cristo... y de toda su salvífica estancia entre nosotros y de su economía para nosotros”, escribe el Obispo Teodoro de Andida (Sobre los símbolos y los misterios de la Divina Liturgia, 1, PG 140, 417A). Ante nosotros se despliega la vida de Cristo porque “la entera mistagogía es como una única representación de un mismo “cuerpo”, que es la vida del Salvador”, dice San Nicolás Cavásilas (Comentario de la Divina Liturgia, 1, 7, SC 4 bis, p. 63) y San Juan Crisóstomo dice que “los ojos de la fe ven lo invisible” (Sobre el hecho apostólico: 2 Tm 3,1; 2, PG 56, 272).

El Santo Altar se hace el “lugar de la calavera”, el Gólgota temible. Dejando el Gólgota nos acercamos al lugar de la resurrección: “el misterio celebrado en Pascua no es más grande del que estamos celebrado ahora. Es el único y mismo misterio y la misma gracia del Espíritu; es siempre Pascua” (Juan Crisóstomo, Comentario a la Primera Carta a Timoteo, 5, 3, a cura de G. Di Nola, Città Nuova, Roma 1995, p. 113, Colección de textos patrísticos 124).

La Divina Eucaristía es la Pascua incesante de la Iglesia. Es el principio del nuevo eón que irrumpe en el viejo y lo renueva. Es la presencia carismática del Reino futuro: “no has cesado de hacer cuanto era necesario para conducirnos al cielo y darnos tu reino futuro”, dice el sacerdote en la Anáfora. Cristo nos ha dado el Reino futuro y la posibilidad de llegar al cielo, y lo que es más grande: nos hace dignos de ser acogidos, nosotros pecadores, por el Señor del cielo.

En la Divina Liturgia coexisten la realidad presente y la futura, el principio y el fin, porque la Divina Liturgia es el misterio del Cristo y  también Cristo es “el Alfa y el Omega, el Primero y el Último, el principio y el final” (Ap. 22, 13), así, la Divina Liturgia es, en Cristo, la Sínaxis del espacio y del tiempo y su transfiguración en espacio y tiempo litúrgico: “la Pascua del Señor se acerca, los tiempos se unen, los espacios se unifican y el Verbo que preside a los Santos se regocija, Él, por medio del cual el Padre es glorificado. A Él sea la gloria por los siglos de los siglos. Amén” (Carta a Diogneto, XII, 8).

 b) Teofanía Trinitaria

La Divina Economía es la manifestación del amor del Dios Trino por el hombre. El autor y actor de nuestra salvación ha sido el Verbo de Dios, el Padre se complace en la obra de su Hijo y el Santísimo Espíritu coopera: “La teofanía teándrica en la carne se realizó porque el Padre la ha querido, el Hijo se ha encarnado y el Espíritu Santo ha cooperado” (Cesario de Nazianzo, Diálogo 3, pregunta 167, PG 38, 1129).

El misterio de la divina economía es una teofanía trinitaria. La Divina Liturgia, en la cual se revive por la gracia este misterio, es también una teofanía trinitaria. Su celebrante “desvela la Santa Trinidad”, escribe San Gregorio el Teólogo (Oración 43, 72, p. 1113).

Desde el inicio hasta el fin la Divina Liturgia nos ayuda a vivir el misterio de la presencia trinitaria. El sacerdote comienza diciendo: “Bendito sea el Reino del Padre, del Hijo y del Espíritu Santo”. “Gracias a la encarnación del Señor, por primera vez, los hombres han visto a Dios, una Trinidad de personas. Lo que se cumple en la celebración es la iniciación mistérica de la encarnación del Señor. Es necesario por tanto que desde el principio resplandezca y sea anunciada la Santa Trinidad”, escribe San Germán de Constantinopla (Historia eclesiástica y contemplación mística, PG 98, 401B).

Siguen las “ἐκφωνήσεις“trinitarias, las tres antífonas y el himno trisagio que cantamos a la Trinidad vivificante. Y cuando se acerca el momento central del misterio, el celebrante nos ofrece “la gracia de nuestro Señor Jesucristo, el amor del Padre y la comunión del Espíritu Santo”.

Dando gracias a Dios por todo aquello que su amor ha hecho por nosotros: “Tu de la nada nos has traído a la existencia y, caídos, nos has levantado y no has dejado nada por hacer hasta conducirnos al cielo y darnos tu Reino futuro. Por todos estos beneficios te damos gracias a ti, a tu Hijo unigénito y a tu Espíritu Santo”. Después suplicamos al Padre de Luz que envíe al Paráclito para que consagre la ofrenda del Hijo. El Paráclito viene y realiza el “milagro del misterio”: Nos dona Cristo. Todo se llena de la luz de la divinidad trisolar y nosotros nos convertimos en huéspedes del amor trinitario. Comulgando el Santo Cuerpo y Sangre de Cristo nos convertimos en templo de la Trinidad Santísima, porque “si uno está en nosotros podemos decir que la Trinidad entera está en nosotros”, como dice San Atanasio el Grande (Cartas a Serapiόn, El Espíritu Santo, 1, 20, a cura de E. Cattaneo, Città Nuova, Roma 1986, p. 76, Colecciόn de textos patrísticos 55).

Al término de la Divina Liturgia nuestra alma “portadora de Cristo” irradia la Luz Trinitaria: “Hemos visto la verdadera Luz, hemos recibido el Espíritu celestial, hemos encontrado la verdadera fe, adorando a la Trinidad indivisible, porque ésta nos ha salvado”, canta el coro al final de la Liturgia.

c) Sínodo (Unión) celeste-terrenal

La presencia del Dios Trinitario confiere a la Sinaxis eucarística su real dimensión: Sínodo o Unión del cielo y de la tierra.

El espacio en que se celebra la Santa Oblación se convierte en “la morada de Dios con los hombres” (Ap. 21, 3). Junto con los hombres, la creación entera glorifica a Dios. Toda la realidad se unen “sobre el altar colocado ante el Trono de Dios” (Ap. 8, 3) y Le dan gracias. Esta es la esencia de la Divina Liturgia: Reunirse todo el universo en un mismo lugar y ponerse en camino hacia el Reino del Dios Trinitario. Por esta razón San Juan Crisóstomo y otros Santos Padres la llaman “σύν-οδος”, porque todos juntos “con-caminan” en direcciónόn a Dios: “Ninguno de los que comen esta Pascua (la Divina Eucaristía) mira a Egipto, si no al cielo, a la Jerusalén celeste” (Comentario de la Carta a los Efesios, 23, 2, PG 62, 166).

La Divina Liturgia es la presencia real de Cristo: “Cuando te preparas para cercarte a la Santa Mesa, cree que allí está presente el Rey de todos” (Juan Crisóstomo, Sobre la visiόn de Isaías 6,1; Homilía 6, 4, PG 56, 140). Cristo “que reúne todas las creaturas” (Gregorio de Nisa, Homilía sobre el Eclesiastés, III, a cura de S. Leanza, Città Nuova, Roma 1990, p. 76, Colección de textos patrísticos 86), convoca alrededor del Santo Altar todas las existencias y “providencialmente las une tanto a sí mismo como entre ellas” (Máximo el Confesor, La Mistagogía, 1).

Junto a Cristo está la Madre de Dios. Antes que Cristo celebrara su cena, en la Santísima Virgen se celebró, por el poder del Espíritu Santo, el misterio de nuestra salvación: “Tu seno se ha convertido en santa mesa sobre la cual ha reposado el Pan celeste”, se canta en el Oficio de Maitines de la Fiesta de Mediapentecostés. En la Divina Liturgia la Reina de los cielos se encuentra a la derecha del Rey.

El mundo angélico es la cohorte de Cristo. El Señor avanza hasta el Gólgota “invisiblemente escoltado por los ejércitos angélicos”, y en el momento del ofertorio los ángeles glorifican con nosotros la bondad de Dios.

Junto a las potencias angélicas participan en la Divina Eucaristía el “coro de los Santos”, según San Dionisio Areopagita. La sínaxis eucarística es la fiesta de la victoria de Cristo y de cuantos están unidos a Él en su camino.

En la Divina Liturgia también están presentes nuestros hermanos difuntos para quienes invocamos la misericordia de Dios. De tal modo, cielo y tierra, ángeles y hombres, vivos y difuntos festejan juntos y juntos dan gracias al Señor por su amor infinito. Todas las creaturas manifiestan su agradecimiento: “Al que está sentado en el Trono y al Cordero alabanza, honor, gloria y poder por los siglos de los siglos” (Ap. 5, 13).

2. Frutos de la Divina Liturgia

a) Divinizaciόn del hombre

El famoso apotegma de San Atanasio el Grande: “Dios se ha hecho hombre para que el hombre pueda ser Dios”, implica que la unión con la Fuente de la Vida no pueda hacerse más que por un acto interior del Espíritu. La participación en la vida divina se realiza mediante una vasta celebración litúrgica que engloba a todo el cosmos. Sin esta apertura a todo lo creado tampoco sería posible la participación amorosa del hombre en el principal acto litúrgico. Si la divino-humanidad se abre al corazón de la historia por la encarnación, y puesto que Dios revela su rostro en Cristo, el hombre, a su vez, descubre cual es su verdadero rostro y cual es su propia vocación; vocación que, además, se inscribe en el carácter irreductible de su persona.

Con el sacramento eucarístico Cristo ofrece al hombre su Cuerpo y Sangre Santísimos para que el hombre sea “un solo cuerpo (σύσσωμος) y una sola sangre (σύναιμος) con Él”, nos dice San Cirilo de Jerusalén (Las Catequesis, 22 o Cuarta catequesis mistagógica, 3, a cura de C. Riggi, Città Nuova, Roma 1993, p. 456, Colecciόn de textos patrísticos 103). Cristo mismo la primera vez que habló de este misterio dijo: “quien come mi carne y bebe mi sangre permanece en mí y yo en él” (Juan 6, 56). El hombre recibe en sí a Cristo y Cristo al hombre. Cristo es al mismo tiempo habitación del hombre y huésped del hombre. Ésta es la demostración de su amor.

Debemos, dice San Juan Crisóstomo, conocer “el milagro de los misterios... Nos convertimos en un solo cuerpo y miembros, como está escrito, a través de su carne y sus huesos” (Ef. 5,30). Y continúa: “... Nos mezclamos con aquella carne... con el alimento que nos ha dado...”, para concluir el mismo Santo Padre: “Para esto se ha mezclado con nosotros y se ha convertido con nosotros en un solo cuerpo, para que fuésemos con Él una sola cosa, como el cuerpo está unido a la cabeza” (Sobre el Evangelio de Juan, 6, 2-3, PG 59, 260).

El fiel, gracias a la Divina Comunión, se hace con Cristo un solo cuerpo, una sola mezcla, una única amalgama. Todo esto se verifica no solo en teoría si no en la realidad misma. Al amor de Dios no le basta con la encarnación, la pasión y el sepulcro, si no que llega hasta la cristificaciόn del hombre, a través de la Eucaristía, enseña el Crisóstomo (Comentario al Evangelio de San Mateo, 82, 5, vol. 3, p. 300). Esta unidad la explica San Gregorio Palamás de la siguiente manera: “Porque en el Tabor su cuerpo fuente de la Luz y de la Gracia todavía no estaba unido a nosotros: iluminaba desde fuera a aquellos que se acercaban dignamente y enviaba la iluminación a sus almas mediante el sentido de la vista; pero ahora, puesto que se ha hecho uno con nosotros y existe en nosotros, ilumina el alma precisamente desde nuestro interior” (Tratado en defensa de los Santos Hesicastas).

Las palabras de los Santos no son filosofía para impresionar el auditor. Son resplandor de sus corazones llenos de la Luz y de la Vida de Cristo. Y el ambiente en al cual se vive y se mueve el santo es el del resplandor de la Luz de Cristo. El mundo se convierte en eucaristía, la creación entera se santifica y se renueva, porque el hombre está santificado y cristificado. El hombre se convierte, por gracia, en Cristo y el mundo en “casa de Dios”. El misterio eucarístico es la puerta a través la cual Cristo entra en el hombre y en el mundo. 

b) Constitución de la Iglesia

Si tomamos la definición general que dan de la Iglesia los Santos Padres como la vida divina entre los hombres, vida que nos hace conocer la comunión de las tres Divinas Personas, la Iglesia será sentida como un ágape, como una comunidad en la que la vida se expresa en una experiencia real de servicio y de fraternidad, en la que el acto de fe y el acto de adoración se encuentran indisolublemente enlazados. La Divina Liturgia ortodoxa es una liturgia de celebración en la que el hombre se convierte en sacerdote del mundo, en celebrante de la existencia.

La Ortodoxia tiene una visión muy precisa de la relación entre acción sacramental e Iglesia, entre Eucaristía e Iglesia. Tomando como base el concepto patrístico que ve en la Eucaristía el sacramento de la unidad de la Iglesia, es decir, la manera por la cual la Iglesia se realiza, la comunión en el sacramento de la eucaristía significa precisamente la comunión en la Iglesia Una y Única. Esta unidad no es moral, si no ontológica; la unidad eclesial y la plenitud de la fe son imperativos, son exigencias de pertenencia que no tenemos derecho a poner en duda.

Conviene aclarar un malentendido: este concepto de Iglesia eucarística no convierte a sus miembros en un gueto litúrgico. Participando de la vida divina la Iglesia debe ser imagen fiel de la Santa Trinidad, o lo que es lo mismo, de un dinamismo vivo en que en las Divinas Personas hay perfecta unidad de amor y no jerarquías de superior e inferior. El acontecimiento eucarístico es el momento en que nos convertimos en partícipes de Cristo de la manera más total e íntima: todo lo que Él es, “sacerdote, profeta y rey”, todo eso nos es concedido a nosotros.

La Eucaristía es el lugar privilegiado en el que el hombre litúrgico descubre su vida a la luz del que da la Vida. Este calificativo de hombre litúrgico se entiende actuando siempre en la Asamblea eucarística de la Iglesia y no en grupos aislados, es decir fuera de la comunión eucarística, no se realiza la plenitud de vida en Cristo y en la Iglesia. En la Didajé leemos: “Como este pan estaba disperso por las colinas y ahora una vez reunido se ha convertido en un solo pan, así se reunirá Tu Iglesia desde los confines de la tierra para formar Tu Reino”. La Eucaristía no admite una concepción individualista, ni se trata, al menos en el Oriente cristiano, de un asunto que atañe a la piedad privada, si no como el sacramento en el que la Iglesia se revela en su realidad total.

El sacramento de la unidad manifestado en su total plenitud en la Iglesia anticipa la parusía de Cristo. No es una anticipación en el sentido del Antiguo Testamento, que figuraban acontecimientos por venir, si no en el sentido de que es portador de aspectos de la parusía ya realizados. Por la Divina Liturgia la Iglesia entra en la meta-historia y en el meta-tiempo. Cada Divina Liturgia es la renovación del descenso del Espíritu Santo sobre los Santos Dones y sobre el pueblo reunido para comulgarlos. Las palabras de Cristo pronunciadas antes por parte del sacerdote se convierten en milagro por y solamente por la Epíclesis y al mismo tiempo es la llamada a la unidad por la participación en el único Espíritu. La κοινωνία (comunión) en el Espíritu Santo no sólo es fruto de su descenso, sino también de la condición para participar en el mismo pan y en el mismo cáliz.

La Iglesia nace de Cristo y se nutre de Cristo. Este nutrimento divino edifica la Iglesia en Cuerpo de Cristo. Nosotros, si también hemos muchos, gracias en el único pan, el Cristo, constituimos un único cuerpo: la Iglesia. De tal manera que cada sínaxis eucarística es una sínaxis de la Iglesia en su totalidad, porque la Eucaristía es el misterio de Cristo.

Conclusión

Dice San Nicolás Cavásilas en su obra “Explicación de la Divina Liturgia”: “Coherederos de las mismas riquezas de Cristo ... aquí abajo debemos cuidar de lo siguiente: Acoger sus dones, guardar sus favores y no rechazar la corona que Dios nos ha tejido”. De esto que hemos leído parecería que el hombre debe adoptar una actitud pasiva en orden a recibir la gracia divina, distribuida libremente por Dios y administrada en sus misterios. Nada de eso. Rechazamos esa especie de quietismo. Debemos recordar el compromiso personal, eminentemente activo y participativo del cristiano para estimular la necesidad de pedir la gracia de Dios. Sigue diciendo el maestro bizantino que “hay que tener en cuenta que Cristo, que nos convida a su banquete, lucha a nuestro lado”, para tomar a través de la Divina Liturgia dignamente parte en su Vida.

Concluyo con esto que muchas santas personas han vivido y continúan viviendo y que la tradición ortodoxa pone en evidencia continuamente referente a la Divina Liturgia. Cuando el sacerdote comenzó a revestir sus ornamentos, apareció ante él la luz de los ángeles, parecida a la luz del alba. Cuando comenzó el rito de la preparación de los Santos Dones, un ejército de ángeles se distribuyó por las cuatro esquinas del templo. Una vez que el sacerdote concluyó la preparación y cubrió los Santos Dones con los velos una luz intensa los cubrió también: porque los velos visibles manifiestan la luz ininteligible que cubre las ofrendas. Cuando llegó el momento de la Gran Entrada y el sacerdote salió con los Santos Dones lo precedía una luz que cubría a todos los fieles. Cuando los Dones fueron depositados en el altar, la luz resplandecía sobre aquél. Después de la consagración el Señor se apareció sentado en el disco en la figura de un niño rodeado de luz. Al terminar la Divina Liturgia vio al Divino Niño ascender al cielo, junto con los ángeles, con gloria y honor. Esta luz es la Luz increada cuya visión la reserva Dios a sus Santos.


Fuente: Arzobispado Ortodoxo de España y Portugal (Patriarcado Ecuménico)